Recovery fund, 137 progetti per spendere i fondi Ue

Le opzioni possibili

Le infrastrutture, a partire dall’Alta velocità ferroviaria al Sud, che oggi fa capolinea a Salerno. La digitalizzazione del Paese, che significa non solo dare una scossa alla pubblica amministrazione ma anche sciogliere una volta per tutte il nodo della rete in fibra ottica. La riforma degli ammortizzatori sociali, specie di quella cassa integrazione governata oggi da regole troppo macchinose. Ma soprattutto il capitolo fisco, che potrebbe essere aperto anche grazie a un gioco di sponda contabile, con i soldi comunitari che renderebbero disponibili fondi nazionali altrimenti da utilizzare in modo diverso. Qui c’è un piano A in linea con Bruxelles, e cioè un nuovo taglio delle tasse sul lavoro. E un piano B meno ortodosso dal punto di vista comunitario ma sul quale c’è una forte spinta politica: il taglio dell’Iva per gli acquisti con carta di credito e bancomat, dunque in chiave anti evasione fiscale.

Sanità e lavoro

Tra le voci c’è la sanità, che è anche l’unico capitolo di spesa possibile per il Mes, l’altro canale di aiuti comunitari che però spacca la maggioranza con il Movimento 5 Stelle che non ne vuole sentire parlare e il Pd che invece non molla la presa. La sanità sarà dunque una delle voci del Recovery plan. Ma quanto si investirà in questo capitolo dirà molto sulla partita in corso sul Mes e quindi sui rapporti di forza nella maggioranza. Sugli ammortizzatori sociali ci dovrebbe essere un’estensione che arrivi a coinvolgere anche i lavoratori atipici, dai contratti a termine ai collaboratori che oggi sono meno protetti. Il Recovery fund potrebbe portare anche alla creazione di un’agenzia separata per gestire la cassa integrazione, dopo i problemi che ci sono stati con l’Inps e la moltiplicazione dei suoi compiti. Un aiuto ci potrebbe essere anche per la scuola e l’università, ma di sicuro non per la riapertura in sicurezza a settembre, scadenza troppo ravvicinata per usare i fondi europei. Potrebbe essere invece potenziata la didattica a distanza. Sia come modalità parallela in un mondo più sempre tecnologico. Sia come rete di sicurezza se nei prossimi mesi ci dovesse una seconda ondata del contagio tale da costringere a una nuova chiusura, magari non a tappeto ma mirata.

FONTE Corriere della Sera – Enrico Marro e Lorenzo Salvia