Salvatore e Signoruzza

Salvatore non era irritato ma perplesso decisamente si, a 50 anni suonati e con un diploma di scuola superiore lo rimandavano a scuola (il suo forte erano sempre state le materie tecniche ma curiosamente i suoi eroi quelli della mitologia classica). “Vai a lezione di sicurezza” aveva detto il suo dirigente, “c’è la Conferenza Stato Regioni del 2011 che, per il tuo lavoro nei cantieri, prevede 16 ore”.

Il suo stato d’animo era un pochino migliorato quando ad accoglierlo si era presentata una dott.ssa, alta quasi quanto lui con un sorriso aperto; a lui piacevano le donne, al suo paese aveva sua madre ed una sorella e guai a chi gli mancava di rispetto. Non capiva però cosa potesse saperne una donna di cantieri e di rischi.

Lei, la Signoruzza, gli si era seduta accanto, gli aveva detto di amare la sua terra, di averla visitata diverse volte e gli aveva chiesto di insegnarle a pronunciare le parole che aveva imparato dai personaggi di Montalbano. Quanto avevano riso…

Signoruzza poi gli aveva detto che, quella aula, giorno dopo giorno, era diventata un luogo dove si raccontavano storie, come un tempo si faceva davanti al caminetto, per ritrovare sé stessi, il proprio valore, il sapere comune, nelle parole dell’altro. Tanti suoi colleghi erano passati di lì ed ognuno aveva un racconto, di ciò che aveva visto, di come fosse possibile in un attimo scollegarsi dalla realtà, perdere contatto con la preziosità della vita.

Ed era stato allora che Salvatore si era deciso e glielo avevo detto.

Il sole bruciava quel giorno e lui con il suo escavatore si era spinto a mezza costa e, per lavorare si era costruito una piazzola ben congeniata. Sopra di lui la montagna a picco. Ma ecco che il ciglio della montagna vibra e sguardo in alto Salvatore intravede una motopala enorme con l’autista impegnato a smuovere massi e a muovere curiosamente la testa sormontata da cuffie. Salvatore urla, si sbraccia inutilmente, comprende che l’autista sta ascoltando musica e non può sentirlo, non visto si rifugia nella parte più robusta dell’escavatore. I massi cominciano a rotolare dall’alto, massi enormi.

Salvatore rivive il terrore mentre racconta, l’immensa, agghiacciante solitudine che si prova a sentirsi perduti, inermi. I massi però rotolando giù sono appesantiti dalla terra bagnata dal temporale di poco prima che li avvolge rallentandone le corsa. Finiscono dentro una buca accanto all’escavatore. Salvatore esce e prima di svenire ha il tempo di vedere il preposto che pur avendo assistito a tutta la scena scappa via, rientrando in galleria.

Salvatore finisce il racconto e si rende conto di avere ancora gli occhi pieni di lacrime, le guance rigate di lacrime. “Non dovete formare me ma quei disgraziati” urla a Signoruzza. Allora lei gli dice che le lacrime sono un bene, sono come un fiume che ci trasporta, ci solleva consentendoci di superare gli ostacoli e di approdare in un luogo nuovo, più sicuro per noi.

Signoruzza lo ringrazia e, se lui accetta, questa storia disseminata di istruzioni, lei la divulgherà, la sua storia al servizio dei suoi colleghi.

Si danno appuntamento al giorno seguente, lì, nel loro luogo sicuro.

Salvatore sorride, si sente come Ulisse quando salva i suoi compagni e la fa in barba al terribile Polifemo.

Continua…

Anna Paoli