La Cassazione Sezione lavoro con sentenza 10 novembre 2017 n. 26679 ha ribadito il principio che le condotte che possono integrare la giusta causa non sono solo quelle relative ad inadempimenti contrattuali, ma possono altresì scaturire da comportamenti o fatti esterni all’ambito contrattuale, purché questi abbiamo rilievo nel rapporto di lavoro, considerando anche le caratteristiche della posizione del dipendente. Per integrare la giusta causa di licenziamento la condotta extra lavorativa del lavoratore deve quindi risultare idonea a incidere sulla fiducia del datore di lavoro e a far ritenere la prosecuzione del rapporto pregiudizievole per gli interessi dell’organizzazione aziendale.
La corte ha quindi sottolineato che i comportamenti extra-lavorativi, cioè quei comportamenti tenuti dal lavoratore fuori dell’azienda e fuori dell’orario di lavoro, devono essere tali, per la loro gravità , da scuotere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro perché idonei, secondo l’analisi delle concrete modalità in cui essi si sono verificati, ad arrecare danno, anche non necessariamente economico, agli scopi aziendali, anche tenuto conto della posizione ricoperta dal lavoratore.
Nel caso in specie già la corte di appello di Trento riteneva che la richiesta di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. per detenzione di gr 92,80 di hashish, non integrasse giusta causa di licenziamento, considerata la natura extra –lavorativa del comportamento non interferente sulle mansioni meramente esecutive svolte dal lavoratore, che non erano connotate da responsabilità e non prevedevano il contatto con il pubblico.
A niente è valso il ricorso della società che si è rivolta alla Cassazione, sostenendo invece l’irreparabile lesione del vincolo fiduciario e quindi la giusta causa di licenziamento, dato che il lavoratore era a contatto con decine di colleghi e le sue mansioni prevedevano il maneggio ed anche l’apertura, qualora non fosse individuabile il destinatario, di pacchi contenenti anche effetti personali o valori.
La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso e confermato l’illegittimità del licenziamento, approvando in sostanza l’analisi del tribunale di Trento, che aveva esattamente valutato il fatto addebitato al dipendente in relazione alle mansioni svolte dallo stesso, il relativo livello di responsabilità, pervenendo alla negazione della sussistenza della giusta causa.
(Fonte: “Guida al lavoro” n. 50 del 22 dicembre 2017).